Il commercio

G. Zocchi "Veduta del Porto di Livorno"
G. Zocchi “Veduta del Porto di Livorno”

Dalla seconda metà del ‘500 il corallo grezzo pescato a Livorno veniva portato a Pisa dove era lavorato da maestri d’arte tra cui: l’ebreo marrano Joseph Bueno mercante fornitore dei Granduchi e forse uno dei primi corallari toscani a cui fu assegnata una privativa granducale, con il relativo pagamento delle tasse medicee (decima). In seguito, fu fondata la compagnia del corallo di Pisa alla quale aderirono commercianti ebrei e pisani. La Compagnia controllava il commercio del corallo sotto il profilo legale, economico, occupazionale e di  import – export.

Cosimo I De Medici dal 1547, e Ferdinando I con le “leggi livornine” del 1593 tentarono di richiamare a Pisa e a Livorno “mercanti di qualsivoglia natione, levantini é ponentini spagnioli, portoghesi, greci, todeschi, et italiani, Hebrei, Turchi, é Mori, Armenij, Persiani” con l’intento di attirare principalmente le comunità ebraiche sefardite, quei “marrani” neoconvertiti cristiani perseguitati in Portogallo. Mercanti esperti con ingenti capitali ed una fitta rete di relazioni commerciali internazionali, che trovarono nella tollerante legislazione livornese protezione e privilegi, libertà di culto e di azione, e che contribuirono alla crescita economica della città. Come “porto franco” Livorno favorì l’attività di commercio e di deposito fra gli scali di Levante, le piazze d’Italia e del nord Europa.

A Pisa e Livorno si lavorava principalmente corallo in tondo, olivette e botticelle per la produzione di pater nostri che venivano esportati per tutto il Seicento verso Siria e Libano. Nel Settecento Mosè di Abram Sulema iniziò commerci con l’India. Il corallo lavorato a Pisa e Livorno veniva trasportato a Londra e da qui nelle piazze di Calcutta, Bombay e Madras.

Per tutto il Settecento a Livorno si tenne la “Fiera del corallo” nei mesi di Ottobre e Novembre di ogni anno. I pescatori napoletani, liguri, corsi e toscani al termine della stagione di pesca affluivano numerosi e vendevano il corallo grezzo tramite l’intermediazione dei “mezzani del corallo” ai numerosi mercanti.

Al principio dell’Ottocento Livorno si delineava ancora come la piazza più importante per il commercio del corallo grezzo su una popolazione ebraica di circa 4000 persone oltre 500 erano occupate nel traffico e nella lavorazione del corallo, stimando un quantitativo di materiale grezzo di 40 tonnellate annue. 

Dopo due secoli di prosperità, verso la fine del XIX si assistette ad una parziale recessione di attività delle ditte livornesi causate dalle vicende legate alla pesca del corallo di Sciacca. Tuttavia proprio in quegli anni l’apertura delle nuove imprese, i Lazzara ad esempio, diedero un innovato impulso all’attività manifatturiera anche in seguito a grosse commesse con la Nigeria, mentre ditte storiche, come la Santoponte, chiudevano nei primi decenni del Novecento. All’inizio del ‘900 i Chayes, i Barsotti, i Fajani, I Lazzara, i Lubrano, i Rocco e i Tabet, continuano ad esportare il corallo lavorato verso Russia ed India, lavorando corallo importato da Kobe (Giappone). Nella prima metà del ventesimo Secolo l’attività livornese legata al corallo risentì di gravi periodi di crisi provocata dalla Guerra ’15-’18, e dalla crisi internazionale del 1929, ma soprattutto per effetto e conseguenza  di una legge emanata nel periodo Fascista che garantiva il titolo dell’oro nella fabbricazione di monili. Nacquero così le prime fabbriche d’oro ad Arezzo e Vicenza e la quotazione del corallo crollò a favore degli investimenti di una larga fascia di consumatori che ritrovavano nel titolo dell’oro garantito un valore di mercato più stabile: dal vezzo di corallo al bracciale d’oro.